Souvenir de Corse
PERSONAGGI E
INTERPRETI (in ordine alfabetico):
Sergio Bona (Yamamoto), Carlin Braiato, Tony Brescia,
Beppe Di Girolamo (Girolamo), Enzo Imparato, Amalia
Marcarino,
Gianni Marietta, Raffaele Stramazzi, Giorgio Rapetta
(Rapa), Gino Terzulli.
PROLOGO
Questo diario di navigazione inizia parecchio tempo fa, quando si era
ancora in barca, all’inizio dell’estate 1999, al largo di Cannes (vedi «Côte
d’Azur - dizionario ad uso dei naviganti» - G. Marietta autore ed editore - 1999).
Non si era ancora a terra, che già qualcuno faceva progetti per la crociera del
2000, la quale doveva comprendere una impegnativa traversata, visto che ormai
la vela non aveva più segreti per nessuno di noi. «L’important a l’è ch’ai sìa
‘l pièn ëd gasòlio!» blaterava Braiato, alludendo all’insana passione di
Capitan Yamamoto per la navigazione a vela (insana soprattutto per la ciurma
addetta a cazzare scotte e girare verricelli, causando spesso dolorose
contusioni a sé ed ai vicini). Si parlò di Elba, di Sardegna, di Camargue,
qualcuno azzardò perfino la Tunisia, ma alla fine fu deciso per la Corsica.
L’attesa durò un anno intero, e le notizie si diffusero (spesso false e
tendenziose) dall’ENEL a tutti i membri dell’equipaggio: «Si parte da Cannes in
maggio...», «Si parte da La Spezia in giugno», «Si parte da Taranto a metà
febbraio...», nessuno ci capiva più niente. Alla fine tutto fu chiaro:
«LIVORNO - CORSICA E RITORNO DAL 15 AL 20
GIUGNO 2000».
15 GIUGNO, giovedì
Caro Diario, ecco che finalmente è giunto l’agognato giorno della
partenza. Sembra che si debba partire da Livorno e forse si andrà in Corsica.
Mi spiace di non potere essere più preciso, ma le notizie sulle modalità di
viaggio le ho avute da Gino, e sai bene quanto poco ci si possa fidare di lui.
Dice che è stato contattato per i particolari da Braiato, e questo non fa che
peggiorare le cose.
L’appuntamento, comunque è fissato per le 17,15 sotto casa sua. Di lì
dovremo andare sotto casa dei D’Antonio (= suoceri di Beppe) per le 17,30, dove
ci attendono gli altri. Naturalmente dovremo viaggiare con la mia automobile.
Figurarsi se Gino prende una volta la sua. Ha paura di consumarla. Ma in fondo
è meglio così: certamente c’è poco da fidarsi ad andare in giro per l’Italia
con lui alla guida.
Per sicurezza sono uscito un pochino
in anticipo dall’ufficio (12,30) e adesso, dopo aver pranzato con calma e
sorseggiato un buon caffè, posso in tutta tranquillità prepararmi la borsa:
costumi da bagno, pinne e tutto il resto. Ecco fatto! Tutto pronto. Spazzolino,
calzoncini, ciabatte... A posto! Devo uscire di casa alle 17,10, se voglio
essere puntuale. Che ore sono? 14,30.
Ho girato a vuoto per la casa per due ore e mezza, ho visto 6
telegiornali e mi sono ricordato di almeno una dozzina di cose importantissime
che avevo dimenticato di mettere nella sacca, come la macchina fotografica
usa-e-getta subacquea, appositamente acquistata a Media World solo ieri e il
binocolo (che come al solito non userò per niente). Ho ricevuto quattro
telefonate di Gino, che dalla Banca mi chiede se ho preso questo, se ho preso
quello, se mi ricordo di questo e se mi ricordo di quello. Non ce la fa più. Se
normalmente la Banca gli sembra una gabbia, oggi gli deve fare l'effetto di un
ergastolo alla Cajenna.
Sono le 17,12. Sotto casa Terzulli, Gino non c’è. Alle 17,20 suono.
Salgo. Mi accoglie in mutande. Lo carico di miserie e lui sembra accelerare un
pelino i preparativi.
Alle 17,35 giungiamo trafelati all’appuntamento delle 17,30. Odio
arrivare in ritardo quando si va in vacanza. Ma sotto casa D’Antonio, Girolamo
non c’è ancora. Porca Eva.
Più o meno alle 18 riusciamo a partire. Siamo in ritardo. A Livorno
saranno in pensiero.
Sulla mia macchina, oltre a Gino, salgono Beppe e Enzo. Sull’altra ci
sono Rapa, Braiato e Raffaele, dipendente ENEL che l’anno scorso non c’era.
Penso che sia stato ingaggiato per dare una mano, visto il fisico prestante,
anche se per la verità non è certo più di primo pelo. Evidentemente Bona ha
intenzioni serie, e la tarversata si presenterà alquanto impegnativa. Speriamo
che non sia solo un altro fannullone da sfamare.
All’Autogrill di Alessandria ci fermiamo per lasciar riposare le auto e
per mangiare qualcosetta. Quando usciamo dal bar per ripartire, la giovane ed
inesperta cameriera che ci ha serviti tira un respiro di sollievo. Anche se il
nostro abbigliamento rivela una destinazione litoranea, anche se tutto ciò che
abbiamo consumato è stato rigorosamente pagato, anche se i capelli grigi
tradiscono la nostra condizione di innocui signori dalla trascorsa mezza età,
preferisce vederci uscire per andare a far casino da un’altra parte.
Alle 21,20, dopo aver tribolato non poco per trovare il Club Velistico
del porto Mediceo di Livorno, arriviamo all’appuntamento. Siamo in grave
ritardo, ma Amalia, Bona e Brescia non si vedono. Per fortuna ci sono i
cellulari. Rapa: «Ciao, Bona! ? Andoa ch’i seve?» «Ah, abbiamo trovato un
ristorantino... Adesso ci portano il caciucco, poi arriviamo. Aspettateci,
eh?... click!» Ma come "click!"? Non dovevano essere in pensiero? Non
dovevamo cenare tutti insieme in barca? Giuda bastard!
La barca, comunque è individuata. Scarichiamo i bagagli. Aspettiamo un
po’. Alla fine arrivano davvero, belli pieni, un po’ brilli. Saluti, baci e
abbracci.
Ma noi, veramente, dobbiamo ancora mangiare. «Rapa, all’opera! Pasta per
la ciurma!»
Mentre mangiamo (e mangiano di nuovo anche i tre traditori, nonostante il
caciucco), Yamamoto ci accenna qualcosa sul piano di navigazione: frega niente,
basta partire. Si viene a conoscenza della destinazione definitiva: si va
davvero in Corsica, con traversata in mare aperto stimata dal capitano in 10-11
ore. Ad un tratto qualcuno viene colto da un dubbio: «La Corsica, non è in
Francia?» «Certo, che domande...» «Qualcuno di voi ha dei franchi?» Silenzio
assoluto. Tutti frugano nei portafogli. Qualcosa salta fuori. Persino io, che
all’inizio di gennaio sono stato a Montecarlo, per combinazione mi ritrovo un
centinaio di franchi in tasca. Unendo le risorse di tutti, dovremmo averne a
sufficienza per comprare pane, latte e roba del genere.
Rapa raccoglie piatti e bicchieri sporchi: «Adess, un bon cafè... Dì,
Bona, i dovoma aussèsse prèst, doman matin?... A che ora ‘s part?»
Yamamoto, inforcati gli occhiali, osserva l’orologio. Sono le 22,20.
Asserisce serio: «Tra 45 minuti io do motore.»
Scende il silenzio nel quadrato. 22,20 più 45 minuti fa le 23,05. Costui
è pazzo. Vuole viaggiare di notte su una rotta sconosciuta e con un equipaggio
di inetti.
Io azzardo: «Si dovrà viaggiare di notte... Hai già viaggiato di notte?»
E Yama: «Mai.»
Ma ormai è deciso. Quando chiude gli occhietti e si atteggia ad
ammiraglio giapponese non c’è nulla che possa fargli cambiare idea. Speriamo
che voglia solo scherzare.
Democraticamente si sorteggia il fortunato che dovrà lavare i piatti per
questa sera e casualmente il prescelto è Gino (il sorteggio è stato curato da
Girolamo). Comunque alla fine tira tardi e bighellona per la barca fino a che
Beppe si stufa e li lava lui.
Ormai è quasi mezzanotte. Forse il capitano scherzava davvero.
16
giugno, VENERDÌ
Caro Diario, il capitano non scherzava affatto. Smaltito il caciucco ed
il bianco di Versilia, quando tutti hanno preso possesso dei rispettivi posti
cuccetta e qualcuno sta già infilandosi il pigiamino, ordina: «Bòn… andoma!
Tutti ai posti di manovra!», senza curarsi minimamente del fatto che nessuno sa
qual è il suo posto di manovra.
Sbigottiti, controlliamo gli orologi: sono quasi le due. Non ci sono
parole.
Ma se il comandante appare fuori di senno, l'equipaggio è sicuramente
composto da un branco di incoscienti matti da legare. Infatti nessuno protesta,
nessuno esterna le proprie perplessità e tutti salgono all'aria aperta, pronti
a veleggiare in notturna verso ovest, sperando di incocciare la Corsica. Nella
confusione più totale, con Bona che urla ordini incomprensibili a finti marinai
che corrono-incespicano-cozzano l'uno contro l'altro, alle 2,10 si salpa.
Appena usciti in mare aperto, superato il sicuro riparo del Molo Mediceo
di Livorno, gli impavidi pazzoidi si rendono conto di quanto poco benevolo
possa essere Poseidone nei confronti di chi osi sfidarlo. Le acque si sollevano
e poi ricadono, trascinando la barca in un pericoloso saliscendi. Le onde si
ergono minacciose, costringendo lo scafo a tuffi vigorosi e sonori. Nel buio assoluto
che ci avvolge, col vento che sferza i volti, il silenzio si fa profondo come
il mare sotto di noi. Qualcuno mostra segni di resa. L'iniziale rossore degli
occhi, viene presentato come "solo un po' di sonno…", ma poi i bulbi
si fanno prominenti, il viso assume un colorito verdastro evidente anche nel
buio della notte ed i rutti si fanno più insistenti. In breve, la metà dei
naviganti si vede costretta a svuotare le viscere direttamente tra i flutti,
elargendo ai pochi pesciolini nottambuli un gradito, inatteso ed abbondante
pasto.
Braiato, come al solito, è quello che si lamenta di più, ma alla fine la
sua tattica della compressa contro il mal di mare presa senza inutili attese,
gli permette di sentire pochissimo i capovolgimenti di stomaco. Enzo è, come
previsto, tra i primi a capitolare. Gino fa finta di niente, ma si vede chiaro
che soffre terribilmente: la sua sofferenza non sembra però preoccupare troppo
i compagni di viaggio. È più volte invitato ad assumere la compressa, ma lui
cocciutamente rifiuta ogni farmaco. Anche un vecchio lupo di mare come Brescia
viene colto dagli spasmi e si porta a poppa, al fianco di Enzo, ad incrementare
l'acida scia, pericolosamente sbilanciato fuori bordo.
Gino scende sotto coperta, per riposare un po'. Dopo qualche tempo
risale, confessando di aver preso un'aspirina per il mal di testa. Tutti gli si
scagliano contro: «Ma sei pazzo?» «Hai preso l'aspirina con lo stomaco in
subbuglio?» «Hai mal di testa a causa del mare grosso, non per il raffreddore,
incosciente!» e incominciano a volare insulti, anche pesanti, a cominciare
dalla descrizione delle sue basi culturali, per finire con le sue origini.
Quando finalmente vomita davvero, molti si compiacciono del fatto.
In breve ci troviamo nel mezzo di una scena tipo "L'ESORCISTA". Più che semplici
conati, quelli di Gino appaiono come vere e proprie urla cavernicole, emesse
senza ritegno, accompagnate da ruggiti raccapriccianti e da tanfo nauseabondo.
Braiato continua a lamentarsi, ma sta abbastanza bene. Ad un tratto una notizia
terrificante coglie di sorpresa la ciurma: «Rapa a l'ha la nàusia… Rapa ha la
nausea!». Incredibile. Chi l'avrebbe mai detto? Che cosa mangeremo, se Rapa sta
male? Nessuno di noi è in grado di far scaldare un po' di latte, forse neanche
Amalia… Moriremo tutti di fame! Cadremo vittime dello scorbuto!
A turno si scende sotto coperta, per cercare di dormire un po', ma il
rollìo ed il becheggio dell'imbarcazione, lo scricchiolìo delle scotte e delle
sartìe, lo sciabordìo dell'acqua sullo scafo, rendono il riposo impossibile.
Solo Gino russa come un grizzly, anche se, di tanto in tanto, si alza dalla
cuccetta per andare rumorosamente a dar di stomaco.
Sul far del mattino, siamo tutti a pezzi, compresi quelli che non hanno
sofferto il mal di mare. Le onde continuano ad essere notevoli. Quando ormai
siamo in vista della Corsica, ci rendiamo conto che mancano all'appello Gino e
Rapa. Per Gino nessuno si preoccupa, dal momento che è solito alzarsi per
ultimo, "quand che 'l sol a-i bat an sla pansa", ma l'assenza di Rapa
viene commentata dai più come la madre di tutte le disgrazie. Amalia si dà da
fare con biscotti e roba del genere, ma la gran parte dei marinai non ha
nessuna voglia di far colazione, senza le tartine del cuoco ufficiale. Qualcuno
propone di tornare indietro.
In mattinata Gino esce dalla sua cabina ed osserva, con aria mesta e
pensierosa: "Si balla un po'…", ma immediatamente viene colto dagli
spasmi e corre a sgorgare in mare, ruggendo.
Verso mezzogiorno, dopo circa dieci ore di navigazione, approdiamo a
Macinaggio.
Subito si scende a terra. L'intenzione è quella di fare subito il primo
bagno, ma Gino nicchia. «Non mi sento ancora bene… Ho ancora un po' di nausea…
Ho lo stomaco in subbuglio…» e intanto fa il furbo: spruzza a tradimento, tira
sassi vicino agli altri in modo da schizzarli. In breve mi decido: mi tuffo
contro di lui e con un placcaggio da manuale lo faccio cadere in acqua.
Un grido di esultanza richiama ad un tratto la nostra attenzione: è
Braiato, che, sceso dalla barca, corre verso di noi. «Rapa a l'è salv… Rapa a
l'è guarì…» Tutti accorriamo e, scesi in cambusa, vediamo un Rapa rinato che
sta lavorando alacremente, chino sui fornelli. Finalmente una buona notizia!
Dopo un fiero pasto, partiamo da Macinaggio: inizia la crociera vera e
propria. Appena usciti dal porto, ci si rende conto che l'equipaggio sembra
stranamente ridotto. Yamamoto passa in rassegna i suoi uomini e procede ad un
rapido appello: ne mancano due. Abbiamo lasciato a terra Enzo e Raffaele, che
avevano pensato bene di farsi una passeggiata per favorire la digestione. Bona
è furioso: «Per questa volta si torna indietro,» squadra tutti con una
sferzante occhiataccia «ma che sia l'ultimo intoppo che viene procurato al mio
piano di navigazione!»
Con l'organico nuovamente al completo, risaliamo di bolina il
"dito" della Corsica verso nord, fino quasi all'estremo vertice.
Caliamo l'ancora in una splendida baia, dove un'isola, abitata da miriadi di
gabbiani, fungendo da riparo dalle correnti marine, ci permette di trovare un
comodo approdo, lontano dal ricordo dei terribili flutti della notte
precedente.
Il paesaggio ricorda quello delle coste scozzesi: un piccolo villaggio di
pescatori, formato di casette variopinte, è adagiato sonnacchioso sulla brulla
costa, scura e frastagliata. Stormi di uccelli marini ci salutano festosi
dall'immensità del cielo, che va oscurandosi sempre più, in questo vespro
irreale. La frizzante brezza ci conduce profumi di intensità inebriante:
probabilmente sono le deiezioni dei gabbiani. È "l'ora che volge al desìo", e tutti desiderano tanto qualcosa
da mettere sotto i denti. Per fortuna che Rapa è di nuovo in piena forma.
17 GIUGNO, SABATO
Caro Diario, oggi ci siamo svegliati con comodo, vista la burrascosa (in
tutti i sensi) giornata di ieri. Mentre i più volenterosi allestiscono il
necessario per la colazione, Carlin Braiato decide di partire per
l’esplorazione del vicino isolotto. Non senza qualche problema mette in acqua
il piccolo gommone in dotazione alla barca quale scialuppa di salvataggio. In
aspro conflitto contro i consigli di tutti, gli assicura posteriormente il
piccolo motore fuoribordo, rischiando più volte di farlo cadere nelle
profondità del Tirreno. L’equilibrio su quel canotto in bilico tra le onde
potrà pure essere molto precario, ma le decine e decine di volte che Braiato
cade sul fondo del natante non fanno che suscitare la più sguaiata ilarità dei
presenti. Dopo l’ennesimo scivolone con ginocchiata e conseguente rischio di
bagno forzato, il motore parte e Braiato si stacca dalla vela alla volta
dell’isola dei gabbiani. Il motore si spegne solo cinque o sei volte, durante
il periplo, ed ogni avviamento è fonte di crampi al braccio, sudore e gravi
rischi per l’incolumità dell’esploratore, ma è pure motivo di vociante spasso
per gli altri, che seguono ridanciani dalla barca.
Al ritorno di Braiato, entusiasta per la natura incontaminata da lui
ispezionata durante l’escursione, si fa colazione. Verso la fine del pasto,
anche Gino si sveglia ed esce fuori dalla cuccetta, come al solito buon ultimo.
Il bagno del mattino è una splendida esperienza. Nuotiamo fino all’isola
e ne risaliamo poi la collinetta che la costituisce. Il terreno è disseminato
di nidi di differenti specie di gabbiano, e lì possiamo fotografare e filmare i
piccoli, che si lasciano avvicinare molto, prima di cercare riparo dagli
intrusi. Non sanno ancora volare. Cerchiamo di dare fastidio il meno possibile,
ma il desiderio di documentare in fotografia lo splendore della vita naturale è
grande. In cielo i gabbiani adulti volano su di noi, gracchiando il loro
allarme ed il disappunto per la nostra sgradita invasione.
Scendiamo di nuovo in acqua, dove ci fermiamo per raccogliere qualche
riccio. Comincia Enzo, che quando parla della pesca di molluschi marini a scopo
culinario, quasi si commuove. Giunge anche Rapa, sul gommone, attrezzato di
recipienti vari: già sogna una leccornia da abbinare all’aperitivo ed è lui che
dirige le operazioni di cattura, urlando agli impavidi subacquei quali sono gli
esemplari da ricercare e da catturare per la mensa.
La pesca è soddisfacente. Torniamo a bordo, dopo un altro po’ di
sguazzamenti in quel blu cristallino. Anche Rapa torna, col canotto, ed ha la
pessima idea di lasciarsi aiutare da Braiato per l’attracco. Carlin, infatti,
quando riesce ad afferrare la scotta che serve ad assicurare il gommone alla
barca, la tira con uno strappo improvviso e il Giorgione cade sedendosi
pesantemente su di uno dei recipienti pieni di acuminati ricci posati sul fondo
della scialuppa. La vendetta del riccio è compiuta. Rapa trova un po’ di
sollievo solo tuffandosi in acqua senza costume da bagno, con le chiappe
desolatamente ignude ed il pisello fluttuante. Naturalmente viene prontamente
fotografato.
Brescia si è attivato per procurare buon cibo fresco ai compagni di
viaggio. Ha allestito una lenza con l’attrezzatura da pesca che mi sono portato
dietro, nella mia lungimirante previdenza, nonostante le iniziali derisioni
degli altri, e adesso sta attivamente insidiando la fauna ittica del luogo.
Sembra che abbia intenzioni serie.
Gino viene maldestramente costretto a fare qualcosa, anche se dovrebbe
essere chiaro a tutti che è meglio se sta tranquillo in un angolo, limitandosi
a dire stupidaggini. Infatti gli viene ordinato di scolare la pasta e così,
com’era prevedibile, lascia cadere il colapaste in mare. Niente di grave,
poteva andare peggio, ma Enzo è costretto a tuffarsi nuovamente per andare a
recuperare l’arnese sul fondale, a cinque o sei metri di profondità.
Anche Bona farebbe meglio a pensare alle vele e alle rotte, piuttosto che
darsi da fare in cambusa. Amalia gli affida l’insalata da sgocciolare, in un
canovaccio: lui, seraficamente, da il giro al tutto in mare, in pastura a quei
pesci che Tony sta cercando di adescare, scuotendo bene il telo per essere
certo che neanche un frammento vegetale vi rimanga adeso. Dice che credeva
fossero gli scarti, l’immondizia, ma gli altri ne approfittano per apostrofarlo
aspramente, vendicandosi dei pesanti insulti che normalmente si patiscono
durante le manovre, in navigazione.
Nonostante questi tentativi di sabotaggio, qualcosa da mangiare rimane.
Intanto cominciamo con un fantastico aperitivo a base di bianco frizzante e dei
ricci pescati poco prima. Poi arriva una notizia da fantascienza: Brescia è
riuscito a pescare! Chi l’avrebbe mai detto? Si vede che in queste zone i pesci
sono molto più imbecilli che altrove. Comunque, anche se gli esemplari non sono
proprio enormi, ci possiamo mangiare anche una occhiata (bellina, 20 cm.
circa), tre donzelle (da una dozzina di centimetri) e due piccole mormore
(queste solo da mezza dozzina di cm.).
Nel pomeriggio, il comandante Yamamoto propone di fare una puntata verso
l’isola d’Elba. Dice che con una decina di ore di navigazione forse ci si
arriva. Segue un tentativo di ammutinamento che si risolve solo quando giura di
averlo detto per scherzo. Si fa rotta invece verso ovest, e poi pieghiamo a
sud, proseguendo intorno al dito della Corsica e sostando per il bagno
pomeridiano a poca distanza da una spiaggia costituita di ciottoli neri come la
pece in riva ad un mare blu come il cobalto e freddo come un torrente di
montagna. La navigazione procede senza intoppi fino all’approdo a Port Saint
Florent per la sosta notturna.
Caro Diario, le ore trascorrono serene e felici in navigazione, a parte
la confusione che coinvolge l’intero equipaggio in occasione delle operazioni
di virata ordinate dal comandante Yamamoto e dirette dal secondo Amalia.
In mattinata giungiamo in vista di un’ampia spiaggia, al centro della
quale riposano una mucca ed il suo vitellino. L’occasione di andare a rompere
le scatole ai due pacifici ruminanti è ghiotta e non ce la lasciamo certo
sfuggire. L’ancora viene calata sul fondale ad un centinaio di metri dalla
riva.
Apro qui una parentesi per raccontarti, caro Diario, delle tribolazioni
che seguono ogni decisione di “dare fondo”. Quando si trova un posto in cui,
secondo i più, sarebbe interessante fare tappa, innanzi tutto bisogna riuscire
a convincere Sergio Bona ad interrompere la navigazione. Lui infatti non si
ferma mai dietro al suggerimento di altri ed è necessario fargli credere di
essere lui a decidere. Certamente non gli si deve indicare chiaramente il posto
prescelto per la sosta, ma gli si deve chiedere di fermare il natante da
tutt’altra parte, in genere qualche centinaio di metri prima. Allora lui
annuserà l’aria, scruterà l’orizzonte, saltellerà da un lato all’altro della
barca per ispezionare il fondale, consulterà le carte nautiche ed infine
individuerà il posto giusto, che con un po’ di fortuna potrà essere abbastanza
vicino a quello prescelto all'inizio. Allora griderà: «Tutti ai vostri posti! È
una manovra difficile e complicata!» ed ordinerà ad Amalia di andare a prua.
Costei, poverina, verrà regolarmente apostrofata, perché per rapida che sia nel
precipitarsi all’ancora, non sarà mai abbastanza veloce agli occhi del temibile
capitano. Il buon Brescia la seguirà immediatamente per darle una mano e si
dovrà accollare la consueta serie di insulti, più o meno pesanti, che gli
rivolgerà Yamamoto e quelli dell’ingrata di lui compagna. Gli altri, in queste
occasioni, cercano di rendersi il meno visibili possibile, per evitare le
maledizioni di Bona, limitandosi a spostare i parabordi da un lato all’altro
della barca nel caso di attracco ad un molo (operazione che si svolge frenetica
svariate volte per ogni attracco, prima che il comandante decida quale bordo
accostare), o restando a ridacchiare in disparte seguendo a debita distanza le
operazioni di ancoraggio. Dopo diversi tentativi (in media sette – otto)
l’ancora troverà riposo in fondo al mare e l’imbarcazione oscillerà leggera,
dolcemente sballottata dalle brevi onde costiere, lo scafo risonante di un
ipnotico sciabordìo.
Anche nel caso accaduto oggi è andata all’incirca così. Braiato e
Girolamo hanno però dovuto minacciare l’ammutinamento per far ammainare le vele
proprio all’interno della rada dove riposano i ruminanti.
Braiato in occasioni come questa diventa incredibilmente attivo: dirige
il nuovo varo del gommone e si occupa di installare il motore. Incautamente mi
aggrego alla spedizione che compirà lo sbarco. Siamo in quattro: Braiato, Beppe
e Enzo, oltre a me. I primi due pretendono entrambi di comandare le operazioni
e litigano per ogni minimo dettaglio: andiamo di qua, andiamo di là, fai
guidare un po’ me, vai più piano, vai più in fretta, stai attento che mi
spruzzi tutto…
Quando arriviamo circa a metà strada il piccolo motore che ci aveva
spinti fin lì, incespica, riparte, tossisce, strattona e, infine, tace inesorabilmente.
Su quella maledetta, piccola scialuppa gonfiabile cade una quiete sepolcrale.
Dopo un attimo di questo assoluto ed irreale silenzio, dove il tempo appare
sospeso su di un nulla infinito, alto si leva il gracchiare acido delle risate
dei compagni rimasti sulla nave madre. Subito, molto più acuto, si erge l’urlo
di Braiato che, preda del più grave disappunto per il riso sguaiato e
canzonatorio dei commilitoni, scocca verso il cielo la più irripetibile delle
bestemmie, roba da far accapponare la pelle al più disincantato dei seguaci di
Mefisto.
Subito Girolamo comincia a vibrare possenti strattoni alla corda che
dovrebbe avviare il motore, ma il meccanismo non si innesca. Ad ogni tentativo,
il gomito sfiora pericolosamente il volto degli altri naufraghi, cosicchè
Carlin prende in pugno la situazione e prova lui a mettere in moto il diabolico
fuoribordo. In breve rischia di finire a mollo, limitandosi a rovinare
maldestramente sul fondo del gommone. Prova poi anche Enzo, ottenendo lo stesso
deludente risultato. Io mi limito a proporre di passare ai remi, ma: «Schèrsa
nen!» blatera Braiato «I veuj nen déje sta sodisfassion a coj bastard!»,
intendendo per "quei bastardi" i suoi cari colleghi e compagni di
viaggio. Per la prima volta da che li conosco io, Girolamo si mostra d’accordo
con lui.
Riprendono a tribolare, alternandosi a tirare il cavo di avviamento
motore fino al limite dello strappo. A questo punto accade l'imprevedibile.
Gino, dalla barca, comincia a sottolineare ogni strattone alla corda con un
fischio di scherno: «Fi-fiuuu… Fi-fiuuu…» Il sanguigno Braiato, già provato
dalla lunga e infruttuosa serie di strapponi alla corda maledetta, assume in
volto il colore della vinaccia e, alzatosi in piedi sull’instabile fondo del
canotto, dà sfogo a tutta una serie di ignobili gesti all’indirizzo
dell’imbarcazione madre, accompagnando ogni movenza con insulti
raccapriccianti.
Beppe cerca di calmarlo: «Lascia fare… devi essere superiore… non
aspettano altro… non dargli soddisfazione…», ma ormai Braiato è veramente fuori
di sé. Intanto si continua a tentare con gli avviamenti, ma il motore non
accenna alcunchè. Ad ogni strappo segue inesorabile il “Fi-fiuuu…” di Gino e la
conseguente imprecazione di Carlo. Enzo, stufo di rischiare una gomitata in
faccia ad ogni strappo, visto che ormai il canotto è preda della corrente e si
sta dirigendo completamente fuori rotta, decide di tuffarsi e di spingerlo a
nuoto verso la spiaggia, aiutato da me, che, in contrasto con l’orgoglio degli
altri due, ho dato mano ai remi in dotazione. Naturalmente, ogni colpo di remi
viene sottolineato dal “Fi-fiuuu…” di Gino e dal successivo improperio con
gestaccio di Braiato.
Alla fine si sbarca. Il gommone viene issato in sicurezza sulla sabbia,
proprio di fronte ad un gruppo di giovani (tre coppie) che campeggiano nella
macchia rivierasca, e che ci osservano incuriositi.
Dietro alle dune della spiaggia c’è una zona lagunare, che esploriamo
coraggiosamente, osservando le impronte degli uccelli marini e del bestiame
allo stato brado nella zona. Torniamo poi alla spiaggia, dove avevamo lasciato
la placida bovina col suo piccolo, ricordando il senso primitivo della nostra
missione, che consiste nell’immortalare in fotografia il bucolico scenario.
Quei ragazzi campeggiatori ai bordi dell’arenile ci guardano
ridacchiando: devono essere un po’ scemi, per ridere così. Non hanno mai visto
dei signori in costume da bagno?
Ad un tratto, un urlo agghiacciante fende l’aria: «Ël gomon, pòrca
~!
+Û…» Mi
volto di scatto e vedo il gommone che, scivolato in acqua, si sta allontanando
dalla riva, lentamente ma inesorabilmente. Braiato si lancia immediatamente in
una corsa spasmodica, ma dopo pochi zompetti inciampa e tracolla rovinosamente
a terra, a pelle d’orso, col volto nella sabbia. Rialza il capo e si volta, col
naso sanguinante: «Dài, su, ‘mpréssa!» indicandoci il natante ed alludendo alla
necessità di agire rapidamente. Girolamo gli nega ogni collaborazione: ha la
macchina fotografica a tracolla ed è troppo impegnato ad avvicinarsi sottovento
ai ruminanti, come un pellerossa coi bisonti. Io sto ancora ridendo a
crepapelle per la disastrosa caduta di Braiato ed il vedere il suo volto
violaceo di furore, infarinato dalla sabbia, madido di sudore, col naso
gravemente escoriato, non fa che incrementare la mia incontenibile ilarità.
Anche quei ragazzi che campeggiano nella boscaglia si stanno spanciando.
Ma ecco che il prode Enzo entra in azione: la sua falcata si distende
sulla sabbia ed in un lampo, con un tuffo spettacolare, si trova tra i flutti,
ormai vicinissimo al canotto. E adesso, che succede? Non appena si appresta ad
afferrare la corda assicurata intorno al gommone, questo si allontana, e più
lui si affretta ad avvicinarsi, più il natante gli sfugge. Che strana corrente
è mai questa? Ora però Enzo è riuscito ad abbrancare l’agognato cavo e prova a
trainare la scialuppa verso riva. Incredibile! Gommone e nuotatore sono
trascinati sempre più verso il largo! Eppure il mare sembra calmo…
Guardo i campeggiatori: sghignazzano. Guardo gli altri, sulla barca a
vela: si scompisciano. Raffaele e Brescia stanno riprendendo la scena con
telecamera e macchina fotografica. Tutto ciò non mi convince.
Enzo, credendo che il gommone si sia impigliato in vassaperecosa, gli
gira intorno. A questo punto, dal lato opposto del natante appare Gino, che,
spostandosi di soppiatto e facendosi schermo col canotto stesso, si nasconde
agli occhi di Enzo, ma non può sottrarsi al nostro avvistamento. Braiato
esplode in una grandinata di insulti, anche molto pesanti, all’indirizzo di
Gino e dei suoi cari, cosicchè quest’ultimo, vistosi alla fine scoperto, torna
più in fretta che può, a nuoto, alla nave madre, accolto con complimenti e
manate sulle spalle da quei rinnegati dei suoi complici.
Pure Enzo, ricondotto il gommone a terra, trova più salutare rientrare a
nuoto. Sulla scialuppa, io mi metto ai remi, nel tentativo di evitare altri
impicci, Braiato prosegue corrucciato la sua filippica e Girolamo tenta di
calmarlo: «Devi essere superiore a certe cose… non dargli soddisfazione… fai
finta di niente… è proprio quello che vogliono…»
Ma Gino, asciugatosi appena il volto, dalla barca riprende a sottolineare
ogni colpo di remo: «Fi-fiuuu… Fi-fiuuu…». Questo per Carlin è troppo. Gestacci
e imprecazioni a non finire.
Beppe, per coprire il fastidioso fischio alle orecchie di Braiato e per
ostentare tranquillità e sicurezza, comincia a cantare a squarciagola: «Com’è
bella l’avventuraaa, / senza ieri né domaniii! / Tutto il mondo fra le mani / e
la voglia di cantaaar!» tratto dalla sigla del famoso teleromanzo
“Scaramouche”, del compianto Domenico Modugno, brano musicale che solo in
momenti travagliati come questo può tornare alla memoria. Insomma, una scena
penosa.
19 GIUGNO, LUNEDì
Caro Diario, abbiamo trascorso la notte all’isola di Capraia, attraccati
in un comodo porticciolo pieno zeppo di barche e barchette. Dopo una breve
sosta all’ancora appena fuori, visto che si dondolava un po’ troppo, il
comandante ha acconsentito ad entrare in porto, dove, quando ormai era
praticamente buio, ci siamo assicurati per la notte ad un’altra vela che era
già in seconda fila.
Siamo ormai in territorio italiano. Partiamo di buon’ora alla volta della
penisola, per fare ancora un bagnetto prima di tornare sulla terra ferma. In
alto mare ci sono i delfini, che ci accompagnano per un breve tratto durante la
traversata. Incrociamo pure la scia lasciata da un traghetto delle “Moby Lines”
che ci sballotta per un po’ qua e là.
Puntiamo verso la costa qualche miglio a sud di Livorno, per poterci
tuffare in acque abbastanza lontane da quelle del grande porto, inevitabilmente
inquinate.
All’arrivo dobbiamo constatare che comunque il mare costiero non è certo
limpido come quello visto nei giorni appena trascorsi. Anche il fondale risulta
piuttosto squallido, ma una nuotata si fa sempre volentieri. Gino è senza
boccaglio e così, incautamente, gliene presto uno mio. Com’era prevedibile,
alla fine io ho un boccaglio in meno e in fondo al Tirreno c’è un rifiuto in
più.
Rientriamo in porto, a Livorno, stavolta in pieno giorno, da sud.
Possiamo ammirare le imponenti strutture mercantili e l’Accademia Militare
famosa in tutto il mondo, dove svettano i pennoni del veliero ricostruito nei
cortili per l’addestramento dei cadetti.
Nel pomeriggio rientriamo a Torino, ricostituendo gli equipaggi
automobilistici dell’andata e ripercorrendo i chilometri dell’autostrada del
ritorno con la mente ricca di ricordi ed il cuore gonfio di malinconia.
Molti sono ancora gli episodi che sono accaduti durante i giorni di
navigazione, più o meno divertenti. Ricordo quando nel corso di un’ardita
manovra, in uscita da un porto, Yamamoto ha mandato la barca a raschiare contro
le rocce del fondale, rischiando di farla incagliare irrimediabilmente e
sottolineando poi la sua abilità nell’evitare il nostro naufragio. Oppure
quando il comandante, evidentemente in ritardo di preparazione atletica, ha
mandato la prua a cozzare sonoramente contro il cemento di un molo durante un
attracco. Ma già, gli anni passano per tutti.
Senza dubbio, inoltre, gli aneddoti narrati in questo Diario potranno non
essere completamente aderenti alla realtà dei fatti ed al succedersi degli
avvenimenti, ma così me li ricordo a posteriori e così li ho raccontati. Non
voglio tediare oltre.
L’attento lettore potrà comunque rendersi conto di cosa significa andar
per mare e potrà apprezzare o aborrire, a seconda delle proprie inclinazioni,
la dura vita di chi è costretto a condividere uno spicchio di esistenza con
uomini che sprezzano il pericolo ed agognano l’avventura. Per conto loro, anche
le mogli, rimaste al focolare nell’attesa dell’amato consorte, quali novelle
Penelopi, comprenderanno in ultimo che i loro uomini non vanno certo in barca a
vela per divertirsi, ma per ricercare sé stessi, e nella propria interiorità ritrovare
l’essenza stessa della vita.
Gianni